26 mag 2024
Il valore della bellezza secondo Nebojša Despotović
Articolo tratto da Art Frame - Francesco Liggieri
24 maggio 2024
Nebojša Despotović (Belgrado, 1982) ha praticamente esposto ovunque ed è uno di quegli artisti di cui potresti guardare il lavoro per ore senza mai annoiarti. Lo conosco dai tempi dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, quando entrambi studiavamo pittura in due aule separate, ma lui sapeva già il fatto suo e conosceva perfettamente la materia. Qualche mese fa l’ho ritrovato ad Antares nel workshop dell’Atelier F e ci siamo soffermati a parlare di pittura e di quanto fosse importante parlarne, ma soprattutto capirne la “grammatica”, in poche parole: le basi. Così mi sono detto che dovevo intervistarlo ed eccoci qua.
Se tu dovessi presentarti a chi non ti conosce con il titolo di un’opera d’arte, quale sarebbe?
"I ask, no answer".
Sulla pittura si è detto e ridetto di tutto e di più. Secondo te che ruolo ha oggi nella nostra società?
La pittura è ancora oggi la tecnica artistica più difficile da sviluppare. In un mondo che predilige la comodità del pensiero rispetto alla ferocia del sentimento, rappresenta semplicemente quella parte della pratica umana basata sulla devozione, che permette di arrivare a un rapporto (con noi e con il mondo) ben definito e chiaro.
Esiste un luogo ed un momento che identifichi come l’inizio del tuo percorso e del tuo lavoro?
Dipende di quale aspetto del mio lavoro parliamo: professionale o poetico? Poeticamente parlando, trovo che ci siano sempre stati sviluppi lenti ma continui che per me rappresentano un valore effettivo che mi spinge a lavorare. Allo stesso tempo, riconosco degli spostamenti radicali e significativi che si manifestano spesso a distanza di un paio di anni l’uno dall’altro e che a posteriori posso definire come momenti importanti e rappresentativi. Naturalmente si parla di Belgrado, Venezia e Berlino, ma Venezia ha il suo posto privilegiato.
Da cosa nasce la scelta delle tue figure e la tua gamma di colori?
Ogni periodo della mia vita è caratterizzato da diversi elementi (problemi) che riguardano l’identità personale o collettiva e quindi dipende sempre dall’impulso psichico che si manifesta in quel periodo specifico. In ogni caso, è sempre presente la parte della trasfigurazione attraverso il linguaggio, o per meglio dire, la traduzione delle immagini psichiche nelle figure che fungono da elementi narrativi per sé o nel contesto. I colori completano tutta l’atmosfera che compone le mie composizioni e hanno una funzione emotiva più che estetica.
Ci puoi raccontare qualcosa della tua mostra a Venezia curata da Domenico de Chirico?
Si tratta di una mostra inaugurale della Fondazione Paraeidolia, che ha sedi a Belgrado e Londra. Una realtà che mi ha coinvolto veramente bene e che si sviluppa in maniera espansiva e in sintonia con le mie esigenze per quanto riguarda la divulgazione e presentazione dell’arte. La mostra si intitola Giorni felici, situata a Venezia al Palazzo Dandolo Parisi sul Canal Grande, in concomitanza con la Biennale di Venezia. Il pubblico può vedere la mia tela di grandi dimensioni I ask, no answer del 2021. Un lavoro immersivo e complesso dal punto di vista narrativo, ma anche emblematico per quanto riguarda l’espressionismo lirico, che rappresenta una caratteristica importante del mio lavoro.
Quanto è importante la ricerca della bellezza nel tuo percorso?
Questa è la domanda su cui tutti si dovrebbero soffermare oggigiorno. Il concetto del bello è stato sapientemente confuso, anche grazie alle pratiche artistiche, con il pensiero razionale, che a sua volta è stato ulteriormente offuscato dalla volontà di esaltare l’intelligenza e le capacità relazionali che si riflettono nel sistema economico. Ci siamo allontanati dal bello inteso come buono, che è semplicemente opposto al brutto e al cattivo. Preferiamo essere stimolati intellettualmente, e questo si limita alla riconoscibilità. Il bello non è il concetto del piacevole, ma nasce dalla sofferenza che rinasce nella forma che contribuisce positivamente nel nostro percorso individuale o collettivo, ed è costante. Bisogna ricordarsi quello che diceva il conte Miškin di Dostoevskij o anche Sant’Agostino: la bellezza non è un valore estetico ma si paragona più ad armonia, equilibrio e grazia. La grazia per me ha il valore del dono e della bellezza (amore come filia nell’antica Grecia) nello stesso tempo. Come se fosse la rappresentazione del talento, cioè la capacità di comprendere il mondo e nello stesso momento essere a proprio agio nelle circostanze. Il senso del dovere verso il prossimo completa questo quadro che non si può veramente formulare teoricamente. Quello che facciamo è sempre un lascito, diretto o indiretto.
Puoi condividere qualche aneddoto interessante o curioso legato a una delle tue opere?
Tutte le mie opere nascono da una narrazione di carattere spiritoso. Si compongono attraverso gli aneddoti interni, definiti dai critici come narrazione ermetica. Per non rimanere nel vago, vi racconto cosa è successo in occasione della mia mostra bipersonale con Enzo Cucchi a TRA, curata da Daniele Capra. Ho creato appositamente un’opera su carta di dimensioni molto grandi. L’opera, per tutto il tempo, era percepita e guardata dal curatore e da altri capovolta rispetto a come l’ho creata io, perché comunque rappresentava una forma leggibile in senso figurativo che io non avevo mai considerato. Così capovolta era praticamente identica a un disegno che avevo fatto a mia madre da piccolo. Evidentemente, inconsciamente ero legato a questo disegno (probabilmente perché era incorniciato e appeso nella casa di mia madre). Il giorno prima dell’inaugurazione abbiamo girato l’opera nel verso giusto. Io non ero completamente consapevole che l’immagine avesse anche questo aspetto comprensibile a livello figurativo al contrario e che si potesse leggere da entrambi i lati.
Una volta ci siamo soffermati a parlare di Grammatica della pittura. Ho trovato che tu avessi ragione su tutta la linea, potresti parlarne qui?
La pittura è un linguaggio come altri tipi di comunicazione basata sulle forme simboliche. Come la nostra lingua che parliamo, fondamentalmente si appoggia sulle forme tradotte nelle parole o suoni. Il linguaggio è fondato sulla sua caratteristica principale, cioè ci permette di condividerlo e questi sono i codici che contengono già il proprio significato. Vicino al logos in greco. Una forma, come anche una parola, contiene già tutto il suo bagaglio espressivo e il suo contenuto, cioè il suo senso. “Senso” in italiano ha la stessa radice di “sensoriale”, cioè viene percepito attraverso i sensi. Mentre la mente, in lingua italiana “mente” (non è credibile o veritiera). Questo ci porta alla conclusione che la nostra capacità, ormai totalmente compromessa dai pensieri o concetti, idee o teorie, sta snobbando la forza dell’essenza delle nostre capacità umane di poter essere attivi nella percezione del mondo che ci circonda. La pittura, essendo la costruzione, possiede le qualità linguistiche che oltrepassano la lingua e si basa sulla seduzione perché l’immagine alla quale noi confidiamo così tanto è la parte sensoriale meno veritiera. Partendo da questi presupposti base, presto si arriva a leggere nella pittura di ogni pittore la sua vera intenzione che oltrepassa la superficie alla quale siamo molto abituati per poterla leggere. Questo, pur dandoci la possibilità di comunicare attraverso le immagini, nasconde la vera “grammatica” della pittura che è la sua vera struttura interna. Guardiamo, per esempio, la pittura di Balthus. Ci è subito chiaro che esiste una grammatica che conduce la nostra visione.
Come affronti la sfida di evolvere artisticamente nel corso del tempo senza perdere la tua identità creativa?
La questione, secondo me, è come creare un nuovo, fresco e stimolante approccio alla propria pratica artistica senza necessariamente distruggere sé stessi, o la propria forma fino a quel punto. Questo è possibile solo se la forma è legata all’esperienza dell’individuo e non alla sola forma estetica. In quanto pittori nostro percorso artistico – che non può essere diviso dalla nostra vita psichica (e perciò deve essere modellato a riguardo) – è inserito silenziosamente nella forma artisticamente creata senza subire gli sbalzi stilistici o formali, e rimane costante. La forma definitiva è una sorpresa (e quindi un regalo) che ci viene offerto dalla nostra pratica quotidiana.
Come artista, quale pensi sia il tuo dovere nei confronti della società?
A questa domanda non si può rispondere sinteticamente, ma credo che solo il fatto di considerare la mia pratica intrinseca nella tradizione della pittura, già sia un impegno di per sé, in quanto fa di me un elemento sociale che si ispira all’integrità, intesa come fiducia nella cultura che mi ha cresciuto. Naturalmente ogni nostra azione e presa di posizione ci rappresenta in un paesaggio sociale molto compromesso. Uno dei doveri, secondo me, è trasmettere e tramandare la conoscenza che riguarda la tecnica nel senso più profondo, che si manifesta nella materia che stiamo operando e non solo intesa come linguaggio-tecnica. La pittura ha un peso che penetra dentro il pensiero, anche se viene spesso banalizzata.
Se tu non fossi un artista, cosa ti sarebbe piaciuto fare?
Non è possibile rispondere perché mi sarebbe piaciuto fare tantissime cose.
Gatto o cane?
Gatto!
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